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mercoledì 21 marzo 2007

La morte del Duce

Tra le 16 del 27 aprile del 1945 e le prime ore del giorno successivo si compie il destino dell'uomo prima più amato e poi più odiato dagli Italiani. Oltre 20 anni della nostra storia si concludono così amaramente in una tragedia la cui fine, però, non è ancora stata scritta.

Mussolini viene scortato dagli uomini della 52° brigata "Garibaldi" al comune di Dongo. Pedro e Bill lo accompagnano dal sindaco, l'avvocato Rubini, in attesa di ordini; intanto comunicano alla sede milanese del CLN l'avvenuta cattura del dittatore e di tutto il suo seguito. La notizia giunge anche al comando generale americano. Claretta Petacci viene anche lei ospitata nel Municipio, ma in un'altra stanza. Il neo sindaco per circa un'ora si intrattiene con il suo particolare ospite in attesa di consegnarlo agli Alleati con tutti gli alti gerarchi. E' noto a tutti, infatti, che le clausule dell'armistizio firmato l'8 settembre del 1943 dai rappresentanti del Governo legittimo italiano con gli alleati, prevedevano al consegna del Duce e di tutti i suoi collaboratori alle autorità angloamericane. Non solo, ma anche il premier britannico Churchill, si era espresso in merito alla questione con una nota riservata che non lasciava alcun equivoco: "La consegna del capo dei "diavoli" con i suoi complici deve essere considerata un obiettivo importante che dobbiamo cercare di realizzare con tutti i mezzi in nostro possesso". Il colloquio tra Mussolini e il sindaco di Dongo e stato riportato solo nel 1993 grazie ad alcuni manoscritti. Il sindaco si comporta come se davanti a sé non si trovi un prigioniero, un nemico, ma un uomo degno di rispetto e di considerazione, un uomo che, a torto o a ragione, ha governato il Paese per lunghi anni con il consenso del popolo.

Nella tarda serata del 27 aprile, giunge al CLN di Milano dellacattura di Mussolini. I quattro esponenti del Comitato insurrezionale antifascista

Longo - capo del PCI nell'Italia del nord e delle Brigate Garibaldi;

Pertini - segretario del PSI;

Leo Valiani - segretario del Partito d'azione ed

Emilio Sereni - esponente del PCI

decidono la condanna a morte di Mussolini.

Leo Valiani, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, scrive:

" Sono al lavoro all'Italia libera, deve essere passata la mezzanotte quando mi telefona Sereni, che è al comando generale, credo con Longo e Pertini. E' giunto un radiomessaggio alleato che chiede la consegna di Mussolini. Non c'è che da fucilarlo immediatamente. Questa era l'opinione di Sereni, Longo e Pertini; è anche la mia e, dunque, di tutto il Comitato insurrezionale..."

In realtà i quattro interpretano alla lettera gli ordini ricevuti qualche tempo prima da Palmiro Togliatti il quale, incaricato da Stalin di comunistizzare il paese, aveva deciso che il Duce doveva essere giustiziato rapidamente e sommariamente per evitare di farlo cadere vivo in mano degli Alleati, certo che questi ultimi non lo avrebbero condannato ma, al contrario, avrebbero presto o tardi usufruito del suo carisma per tenere lontano dalla Nazione lo spettro del Comunismo. Come fare allora si sono chiesti i quattro del Comitato insurrezionale, per eseguire rapidamente la sentenza prima che il duce possa essere consegnato agli Alleati?

Per prima cosa Longo impone a Cadorna, attraverso Valiani, di firmare un documento che rechi l'ordine per l'uccisione di Mussolini e dei suoi gerarchi. Cadorna anche se non d'accordo, non è in grado di opporsi alla decisione presa e, anche se sul documento mancano o vengono contraffatte firme importanti come quella del Parri (del tutto all'oscuro della triste faccenda), l'ordine scritto per l'esecuzione del Duce, assume un connotato di ufficialità, in quanto emesso dal CLN.

L'immagine di facciata che i quattro costruiscono per la storia comincia a delinearsi: prima delle 7 del 28 aprile Longo e Pertini impartiscono delle precise disposizioni al partigiano Giovanbattista Mignoli, al secolo ragionier Walter Audisio. Su questo incontro si costruirà il castello della menzogna, eretto in pochi minuti e tenuto in piedi per oltre mezzo secolo.

Secondo la versione ufficiale, Longo affida al "Colonnello Valerio" la cui identità rimarrà sconosciuta fino al 1947, l'ordine di partire per Dongo per giustiziare Mussolini. Ma la verità che comincia a delinearsi già dal '56 grazie a Franco Bandini e successivamente da Giorgio Pisanò, è ben diversa... Longo, quella mattina del 28 aprile del '45 ordina ad Audisio di recarsi a Dongo per prelevare Mussolini e codurlo a Milano per consegnarso agli alleati. Audisio viene accompagnato a bordo di una Fiat 1100 nera da Aldo Lampredi, fedelissimo di Longo e affiancatogli da questi per depistarlo e per controllarlo. A seguito loro c'era un camion con un gruppo di dodici partigiani... si dice che alcuni abbiano rifiutato "l'invito" forse intuendo la verità...

"L'Italia doveva e voleva farsi giustizia da sè. La Resistenza non poteva rinunciare a questo atto finale, per delegarlo alle truppe alleate ed ai loro tribunali. Tra l'altro ho molti dubbi che in questo caso Mussolini sarebbe stato condannato a morte" dichiarerà il capo delle Brigate Garibaldi anni dopo al settimanale Panorama. Mussolini però non si trova più a Dongo, ma è stato trasferito da "Bill" e da "Pedro" a Germasino. Al rientro a Dongo Pedro (anche se c'è chi sostiene fosse Bill) va a trovare Claretta che si trova ancora ospite in una stanza del Municipio. La signora Petaccim che ha tenuta segreta la sua vera identità perchè in possess odi un passaporto spagnolo, si rivela soltanto quando Pedro le porta i saluti del Duce. Anzi, a questo punto, chede al capo partigiano di permetterle di ricongiungersi con lui, e Pedro l'accontenta. Con alcuni dei suoi riparte per Germasino: il suo scopo è quello di prelevare il Duce e di trasferirlo in un altro luogo ancora più sicuro. Il corteo quindi parte per Brunate. A Mussolini viene fasciata la testa, come se si trattasse di un ferito, per scongiurare l'eventualità che possa essere riconosciuto. Nei pressi di Moltrasio però, il corteo è costretto a cambiare direzione, perchè in lontananza si odono degli spari, e il capitano "Neri" suggerisce Bonzanigo, dove nelle vicinanze abita una famiglia di sua conoscenza, di indubbia fede partigiana. Verso le 4:30 del matino Mussolini e la Petacci entrano in una stanza al primo piano di un tranquillo cascinale di proprietà dei De Maria.

Da questo momento in poi la storia, quella che almeno fino ad oggi abbiamo conosciuto come tale, è stata scritta non dalla storia stessa, ma da alcuni uomini che avevano deciso di nascondere per sempre la verità contrabbandando come tale quella storia da loro creata e voluta. Ancora oggi quella storia non è stata ufficialmente cambiata, anche se molte verità si sono aggiunte e sono state riconosciute grazie allo sforzo di alcuni giornalisti che hanno fornito prove documentate e testimonianze. Non sto qui a scrivere la versione ufficiale, perchè tutti oramai la conosciamo e soprattutto perchè è stata smentita da numerose altre testimonianze. Mi fa comunque sorridere la fantasia che hanno avuto dicendo che " Mussolini continuava a balbettare, tremare, immobile, con la bocca semiaperta e le braccia a penzoloni". Ma come sono andate veramente le cose?

Prima di tutto il duce era stato tutt'altro che remissivo, anzi aveva affrontato il mitra di Valerio andandogli incontro e che la Petacci tutto'altro che stordita e fuori di sè, si era lanciata sul Duce per proteggerlo rimanendo colpita a sua volta. Ed è dal '56 che comincia a diffondersi una voce, secondo la quale il PCI aveva imposto a tutti coloro che avevano partecipato all'esecuzione di Mussolini il silenzio per ben 50 anni. La contravvenzione alle disposizioni impartite si paga solo con la morte. Ed infatti subito dopo la guerra, scompaiono in circostanze misteriose alcuni personaggi che avevano partecipato alla spedizione finale.

Mussolini e la Petacci vengono prelevati da casa De Maria intorno alle 9 del mattino. Si sentono degli urli e due spari. L'autopsia del Duce rivelerà due ferite non mortali al braccio ed all'anca. Mussolini viene fatto uscire e consegnato ad altri partigiani che lo cconducono nel cortile, mentre la Petacci resta nella stanza. Benito Mussolini, legato come un "cane tignoso", così come lo aveva definito Sandro Pertini, ad un catenaccio posto sulla porta di legno della stalla che dà sul cordile di casa De Maria, muore poco dopo le 9 di mattina di quel 28 aprile del 1945. A sparargli è quasi certamente Luigi Longo che scarica 7 colpi all'altezza del petto. Il corpo di Mussolini viene abbandonato per circa due ore legato alla porta della stalla. Verso le 12 riprende l'agitazione e vede sfilare un singolare corteo che attraversa le astadina antistante l'abitazione. Ci sono due uomini che sorreggono a braccia un terzo uomo coperto da cappotto e da un passamontagna, e poi c'è una donna che piange ed urla: indossa una pelliccia, ha sotto braccio una borsetta ed in mano un foulard. Tra un singhiozzo e l'altro si aggrappa con forza alle gambe del morto portandogli via uno stivale. "Cosa vi hanno fatto! Come vi hanno ridotto!" urla piangendo. Qualcuno ( Alfredo Mordini), fa partire una raffica alle spalle della poveretta urlando in francese: "Taci puttana". La frittata è fatta. Lino e Gianna con addosso il cappotto di Claretta, la pelliccia sul braccio ed un foulardi n testa, ed un'altro partigiano con addosso il cappotto, una sciarmpa ed il cappello di Mussolini ben calato sulla fronte. Alla piazzetta del lavatoio si ricongiungono con gli altri salendo su un'auto nera che, poco dopo, si ferma favanti a Villa Belmonte. A terra ci sono già i due cadaveri. Alle 16 circa la finta fucilazione Poi i corpi vengono coperti con i cappotti subito fatti sparire perchè qualcuno si era accorto che mancavano su di essi i fori dei proiettili. Alle 17 e 48 del 28 aprile, il plotone di esecuzione abbatte sedici persone tra cui anche Pietro Calistri, assolutamente estraneo, colpevole solo di aver chiesto uno sciagurato passaggio alla colonna fermata a Musso. Doveva andare in licenza.

Prima che tutto questo avvenisse, però, sembra che qualcuno abbia effettivamente tentato di salvare Mussolini: Cadorna, Pedro, Bill, Giovanni Dessy, Colombo.

Piuttosto nebulosa invece è la posizione inglese. Non si sa infatti, se l'intelligence britannica abbia operato per salvare Mussolini o per assicurarsi che fosse eliminato inseieme alla Petacci. Il motivo? Evidentemente il Duce e, di riflesso, la sua compagna, sapevano qualcosa che assolutamente non doveva saltar fuori per non compromettere l'onorabiltà e la rispettabilità della politica inglese e dei suoi rappresentanti. Il riferimento a Winston Churchill non è assolutamente casuale. Quante volte negli ultimi tempi il duce aveva fatto riferimento ai suoi preziosi dicumenti, tenuti con sè fino agli ultimi istanti, che avrebbero stravolto i lgiudizio sulla storia. Non è escluso, infatti, che insieme a Longo ed ai giustizieri di Mussolini, fosse presente un fantomatico esponente inglese, tale John più volte menzionato da qualche storico non allineato. Alle 3 del mattino del 29 aprile 1945, lautocarro contenente i corpi di Mussolini, della petacci e dei sedici giustiziati a Dongo, dopo aver attraversato Corso Sempione, arriva a piazzale Loreto. I corpi vengono scaricati per terra, nei pressi della pensilina di un distributore di benzina, scelta del luogo non casuale... Il corpo di Mussolini viene affiancato a quello di Claretta e qualcuno, senza dubbio in segno di scherno, adagia il suo capo sul petto della donna e gli mette nellamano destra un labaro della RSI. Un'immagine terribile, feroce, patetica e grottesca al tempo stesso. Alle prime luci dell'alba i primi passanti incuriositi guardano in mezzo a quell'orrore. Qualcuno riconosce Mussolini e la voce si diffonde. In poco tempo la piazza si riempie e la calca comincia a diventare incontenibile. Alcuni esagitati scaricano la pripria rabbia su quei poveri corpi coprendoli di sputi e di calci. Nelle tristi immagini girate a ricordo di quei momenti terribili, si vede la scarpa di una donna che con ferocia sferra un calcio sulla testa tumefatta del Duce. I vigili del fuoco sono costretti ad intervenire con gli idranti per disperdere la folla che, incuriosita, si stringe sempre di piu' intorno al cerchio che racchiude i 18 corpi. Ma si aggiunge un corpo, quello di Achille Starace, ex segretario del Partito Fascista che oramai vive in solitudine lontano dalla politica. Sceso in strada in tuta da ginnastica, qualcuno lo riconosce e lo porta immediatamente in piazzale Loreto davanti agli altri gerachi. Lo condannano sbrigativamente in nome di un sedicente "tribunale del popolo" e lo uccidono senza pietà. Per motivi di ordine pubblico o forse per permettere a tutti di vedere bene quei corpi martoriati, sette delle 19 vittime, vengono issate e legate per i piedi ai tralicci della pensilina del distributore. Un idiota, uno di quelli che erano saliti sul traliccio per fissare i piedi dei poveri corpi alle trav, si diverte con un'asta a far girare i corpi urlando: "E adesso, chi volete vedere?". Ovviamente in pirmo piano penzolano i corpi di Mussolini e della Petacci. Un sacerdote si accorge che Claretta non indossa gli slip, ed a testa in giù la gonna le ricade sul corpo. Con dello spago fissa la gonna alle gambe evitando quell'ulteriore insulto. Il motivo per cui, nonostante la Petacci fosse "indisposta", non indossasse le mutandine, rimane un mestero. Tutti i giustiziati vengono piu tirati giù grazie all'intervento del colonnello Charles Poletti, caricati su alcuni camion e trasferiti alla camera mortuaria del Cimitero Monumentale. Alle 7 e 30 del 30 aprile nella sala anatomica dell'obitorio comunale, il corpo di Mussolini è sottoposto ad autopsia. Ad eseguirla è il prof. Mario Cattabeni assistito dai professori Emanuele D'Abundo ed Enea Scolari. E' presente anche un generale medico del CVL: "Guido" incaricato di controllare ogni cosa. L'esame necroscopico rivela subito che il corpo è stato fatto segno a numerosi colpo inferti post-motem sia con oggetti contundenti sia con punteruoli ed armi taglienti e da sparo di ogni tipo. Il cranio è schiacciato in più parti con fuoriuscita di materia cerebrale, il volto sfigurato, alcuni arti quasi staccati. Nove sono i proiettili che hanno colpito il Duce quando ancora era in vita, gli altri 6 colpi sono stati esplosi post-mortem. L'esame, inoltre, non evidenzia alcuna traccia di cibo nello stomaco. Nonostante il corpo della Petacci si trovi vivino a quello di Mussolini, su di lei non viene effettuata alcuna autopsia. Cosa poteva risultare di così compromettente dall'analisi necroscopica della Petacci?

Ancora più tormentata è la vicenda legata alle spoglie di Mussolini che non trovano pace per ben dodici anni prima di essere tumulate nella tomba di famiglia a Predappio nel cimitero di San Cassiano... ma questa è un'altra storia.
Queste informazioni sono tratte dal libro " Mussolini - Duce si diventa" di Remigio Zizzo... E' una miniera di informazioni... lo consiglio a tutti gli appassionati dell'argomento...

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